Memorie-2018

 

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: carta TERZA ROMA

DA ROMA ALLA TERZA ROMA

XXXV SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI

Campidoglio, 21-22 aprile 2015

 

 

Documento introduttivo DEL XXXV SEMINARIO*

 

Sommario: Roma. I. Dalla polis al populus Romanus. – I.1. Città greche e “Stati territoriali”. – I.2. Roma, una “polis” diversa. – I.3. Italia e “provinciae”. – I.4. Prospettive di ricerca: estensione dell’Italia ed estensione del regime romano di proprietà delle terre. – I.5. Prospettive di ricerca: rapporto fra concessione della “civitas” e creazione di nuovo “ager publicus”. – I.6. Prospettive di ricerca: rapporto fra estensione dell’Impero romano e le idee stoiche di una Cosmopoli. II. Imperium populi Romani e città (l’Età di Augusto). – II,1. Italia e province sotto Augusto. – II.2. Composizione fra mondo latino e mondo greco sotto Augusto. – II,3. I peregrini provinciali si legano al “princeps”. – II.4. Fattori che favorirono l’integrazione delle province. – II.5. Dialogo culturale fra province ed Italia. III. Cittadinanza e constitutio Antoniniana. – III.1. Settimio Severo e la fine della bipolarità “Italia – provinciae”. – III.2. Motivazioni contingenti per il nuovo assetto sotto Settimio Severo. – III.3. La “constitutio Antoniniana”: il riconoscimento di cambiamenti avvenuti. Essere Italici o essere provinciali era un’antitesi che stava perdendo il suo significato. – III.4. Prospettive di ricerca: rapporto fra confische di territori e risorse e sviluppo del modello urbano. – III.5. Prospettive di ricerca: chi diventava “municipium” e chi no? Modalità dello sviluppo delle città. – III.6. Prospettive di ricerca: ripercussioni della concessione della cittadinanza nel consolidamento delle tradizioni culturali dei popoli. – III.7. Prospettive di ricerca: inurbamento dell’esercito e altri fattori di consolidamento delle città e delle loro tradizioni antiche. – III.8. Prospettive di ricerca: rapporto fra autoritarismo e costituzione della cosmopoli. – IV. L’Età di Costantino e l’Impero cristiano. – IV.1. Fiscalità e città. – IV.2. Romani e barbari. – IV.3. Nuove idee all’interno della cosmopoli dell’Impero romano. – IV.4. Dalla politica all’amministrazione. – IV.5. Un nuovo “populus”, quello cristiano, e un nuovo spazio: il mondo. – IV.6. L’organizzazione territoriale del “populus” cristiano. – IV.7. Prospettive di ricerca: dialettica fra poteri imperiali e autorità ecclesiastica.

Costantinopoli Nuova Roma. I. Impero universale e popoli slavi. I.1. L’impero universale cristiano. – I.2. Universalità imperiale e signorie locali dell’aristocrazia. – I.3. Assimilazione al cristianesimo dei popoli slavi. II. Secoli VII – VIII. – II.1. Mutamento dei ceti di governo fra VII e VIII secolo. – II.2. Militarizzazione dell’impero di contro al califfato. – II.3. Ruolo della marineria. – II.4. Difesa del possesso fondiario medio e piccolo contro il latifondo. III. Secoli IX-XIII. – III.1. Esercito e agricoltura. – III.2. Assolutismo imperiale e ruolo degli eunuchi. – III.3. Prevalenza dell’aristocrazia militare. – III.4. Fine politica e sopravvivenza culturale.

Mosca Terza Roma. I. Il processo di unificazione della terra russa. II. Ivan IV e la terra. III. Zemskie Sobory. IV. Permanenza dell’idea imperiale romana.

 

 

 

ROMA

 

I. – Dalla polis al populus Romanus

 

I.1. – Città greche e “Stati territoriali”.

 

 Nel mondo greco si concepivano tre categorie di organizzazioni sociali e territoriali: la polis col suo territorio (chora), l’ethnos cioè un insieme di comunità di un territorio che riconoscevano dei capi, elettivi o meno, e la basileia, la monarchia con il suo territorio. I cosiddetti Stati territoriali coincidevano con le monarchie, come quella macedone, per non parlare di quelle lidia e persiana. La polis aveva tradizionalmente un territorio piccolo e poteva ingrandirsi attraverso la deduzione di colonie, che costituivano nuove città indipendenti. Il primo caso di Stato territoriale che facesse capo ad una città greca fu quello di Siracusa, ma sotto la guida dei tiranni del V e del IV secolo.

 

I.2. –  Roma, una “polis” diversa

 

Per i Greci Roma era indiscutibilmente una polis, anche se molto particolare. Essi non diedero molta importanza alla flessibilità dell’articolazione del corpo civico romano, che, attraverso le tribù territoriali, era capace di estendere le dimensioni territoriali e la numerosità della civitas. I Greci notavano invece la capacità romana di integrare nuovi cittadini nel corpo civico, specialmente nel caso degli schiavi liberati, che ottenevano la cittadinanza. È nota l’ammirazione di Filippo V di Macedonia per questa peculiarità romana nella capacità di integrare nuovi cittadini (iscrizione di Larissa Syll. Inscr. Graec. II.543).

Ancora i tempi non erano maturi perché i Greci si accorgessero di un altro punto di forza dei Romani, l’istituzione del municipium, che nei primi secoli dell’era repubblicana servì per organizzare i rapporti fra Roma e le poche città, essenzialmente latine, cui era stata concessa la cittadinanza romana. Ma fu negli anni 90-89 che l’istituzione del municipium divenne il punto nodale nella trasformazione dell’Italia in un’unica comunità sociale, che aveva la cittadinanza romana e rispettava la legge romana, ma manteneva al contempo la propria identità cittadina. Ogni città dell’Italia diventava un municipium Romanum ma ogni municipio era anche la res publica di un populus, con responsabilità, doveri (munera) nella vita politica, sociale, economica e militare della romanità.

 

I.3. – Italia e “provinciae”

 

I Romani erano famosi nel mondo antico per essere esperti nel diritto, e venivano chiamati per avere arbitrati anche da comunità che ancora non erano soggette al loro Impero. Il pensiero politico romano continuò ad elaborare soluzioni sempre nuove, adattandosi al progredire dei successi militari delle legioni. Le capacità di integrare i non Romani nella cittadinanza romana erano grandissime, ma non miracolose, per cui i Romani affrontarono i problemi dell’estensione del potere romano sulla Sicilia, la Sardegna, la Spagna, l’Africa, l’Asia Minore e anche sull’Italia stessa, prima delle leggi del 90-89. I problemi ebbero due soluzioni diverse, perché i popoli italici furono integrati nella civitas, mentre per i territori esterni Roma si limitò ad estendere il controllo militare, fiscale e a creare una suprema autorità giudiziaria attraverso la costituzione delle province.

 

I.4. – Prospettive di ricerca: estensione dell’Italia ed estensione del regime romano di proprietà delle terre

 

In questo quadro storico lo sviluppo della ricerca può dare frutti importanti. E’ importante la differenza fra il tipo di proprietà terriera a Roma e poi nell’Italia romana e quello delle province. I Romani avevano due fondamentali tipi di regime di proprietà: quello dell’ager publicus e quello dell’ager privatus, retto secondo le norme del dominium ex iure Quiritium. Dopo le riforme dei Gracchi si arrivò ad una drastica riduzione dell’ager publicus, a favore delle proprietà private della terra.

 

I.5. – Prospettive di ricerca: rapporto fra concessione della “civitas” e creazione di nuovo “ager publicus”

 

Un fattore di integrazione da approfondire è stato quello del rapporto fra la concessione della cittadinanza agli stranieri, la creazione di colonie o municipi in territorio provinciale, la creazione di nuove terre pubbliche presso le nuove colonie o municipi e la loro trasformazione in proprietà private. Questa dinamica, ad esempio, ha progressivamente trasformato la Gallia Cisalpina, rendendola parte dell’Italia romana.

 

I.6. – Prospettive di ricerca: rapporto fra estensione dell’Impero romano e le idee stoiche di una Cosmopoli

 

Anche l’evoluzione del pensiero politico romano in rapporto alla filosofia greca è suscettibile di ulteriori progressi. In particolare, l’apporto dello stoicismo può dare frutti importanti. Fu Posidonio a vedere in Roma un fattore fondamentale di sviluppo nella vita delle città del bacino del Mediterraneo, i prologhi della Storia di Diodoro Siculo ne sono testimonianza. Egli capì che Roma stava creando una cosmopoli, in cui un solo diritto valeva per tutti, anche se esso non cancellava i diritti preesistenti delle città e dei popoli. Una “citt capace di comprendere l’intera umanità fu un’idea di Posidonio, che derivava dallo sviluppo della politica romana. Le idee moderne dei diritti dell’uomo furono allora precorse dalle idee greche e romane dei doveri dell’uomo, e, prima di tutto, dell’uomo politico. Qui si costruì, o meglio, si rese esplicita e articolata l’ossatura del pensiero morale al quale molti uomini politici dell’Impero romano si ispirarono. In questo campo il pensiero politico degli antichi si rivela superiore a quello dei moderni, che hanno invece sviluppato la parte relativa ai diritti.

 

 

II. – Imperium populi Romani e città (l’Età di Augusto)

 

II.1. – Italia e province sotto Augusto

 

La creazione dell’Impero, ad opera di Augusto, non modificò profondamente l’assetto dei rapporti fra cittadini romani e territorio, e nemmeno quello del rapporto fra province e Italia. Anzi, l’Italia venne a costituire ancora di più un’area di elezione all’interno dell’Impero, esente da guerre, prospera e pacifica, mentre le guerre venivano dislocate lungo i confini sensibili dell’Impero.

 

II.2. – Composizione fra mondo latino e mondo greco sotto Augusto

 

Augusto risolse la contrapposizione Oriente-Occidente, mondo latino-mondo greco ellenistico, attraverso una composizione armonica, che veniva celebrata nelle feste apollinee di Roma, in cui erano chiamati a cimentarsi artisti greci contro artisti latini. Egli promosse anche il bilinguismo, al fine di creare una profonda integrazione fra tutti i popoli.

 

II.3. – I peregrini provinciali si legano al “princeps”

 

Ma al tempo di Augusto i semi dell’integrazione delle province erano gettati. L’Italia aveva giurato fedeltà al principe nella guerra contro l’Egitto, ma ben presto molte comunità provinciali prestarono spontaneamente un analogo giuramento, legandosi esplicitamente alla persona e alla famiglia dell’imperatore. Così il fattore imperiale venne a costituire un fattore di progressiva parificazione fra Italia e province. Se la repubblica aveva distinto nettamente il regime vigente in Italia da quello vigente nelle province, l’Impero progressivamente smussò e rese sempre meno significative le differenze.

 

II.4. – Fattori che favorirono l’integrazione delle province

 

La fiscalità moderata permise alle province di diventare tanto ricche quanto l’Italia e molte città provinciali, col tempo superarono in ricchezza, cultura e decoro urbano la maggior parte delle città italiche. L’accrescimento numerico di senatori provenienti dalle province contribuì, anch’esso, all’integrazione delle molte comunità in un unico mondo politico e culturale. La moltitudine di colonie, romane e talora latine, fondate nelle province, costituì un fenomeno di integrazione simile a quello delle colonie nell’Italia repubblicana nei confronti dei popoli italici. 

 

II.5. – Dialogo culturale fra province ed Italia

 

La dialettica che contribuì a creare sempre più una sola città estesa quanto tutto l’Impero è stata oggetto di molti studi, anche recenti, in ambito storico-religioso. Ad esempio, i cosiddetti “culti orientali”, l’impatto dell’Impero nel mondo delle province, la romanizzazione di culti provinciali sono stati oggetti di attente analisi.

 

 

III. – CITTADINANZA E CONSTITUTIO ANTONINIANA

 

III.1. – Settimio Severo e la fine della bipolarità “Italia -provinciae

 

Un periodo di svolta epocale fu anche quello dei Severi. Fu allora che l’Italia perse i suoi privilegi, le province divennero più piccole, le città divennero più numerose, e finalmente ottennero tutte la cittadinanza romana. Anche dal punto di vista culturale, si arrivò ad una profonda integrazione, derivata da una migliore conoscenza reciproca e da una sostanziale libertà di sviluppare le proprie tradizioni culturali e religiose. Fu solo allora che il Cristianesimo divenne un fenomeno archeologicamente tangibile e arrivò a destare interesse presso la stessa corte imperiale.

 

III.2. – Motivazioni contingenti per il nuovo assetto sotto Settimio Severo

 

I cambiamenti non derivarono da scelte deliberate, ma da contingenze storiche. I pretoriani erano fedeli a Didio Giuliano, che venne sconfitto da Settimio Severo nel 193, e così, da allora, la guardia dell’imperatore non venne più scelta esclusivamente in Italia, ma fra i migliori soldati di tutto l’Impero. La Gallia e la Britannia avevano sostenuto Clodio Albino contro Severo, e così i senatori e i possidenti che avevano sostenuto Albino furono epurati, se non anche messi a morte, e il loro posto fu preso da senatori di origine in gran parte provinciale, con una certa preferenza per gli africani e i siriani, vista l’origine dell’imperatore e di sua moglie, la siriana Giulia Domna.

L’estensione territoriale di molte province fu ridotta, e ridotto fu anche il numero di soldati stanziati in ogni singola provincia. Per contro, le città divennero molto più numerose di prima, perché Severo voleva avere rapporti con città, non con popolazioni prive di Consigli cittadini. Fu allora che, per la prima volta, Alessandria d’Egitto ebbe il suo Consiglio e i suoi magistrati civici. Colonie e municipi divennero il doppio di prima nell’Africa romana. I territori delle varie comunità dell’Impero vennero, in molti casi, ridisegnati e riqualificati. Ad esempio, Cartagine divenne colonia di diritto italico, in cambio di una perdita del suo territorio al fine di far nascere dei municipi nuovi.

 

III.3. – La “constitutio Antoniniana”: il riconoscimento di cambiamenti avvenuti. Essere Italici o essere provinciali era un’antitesi che stava perdendo il suo significato

 

Stando a Cassio Dione, Caracalla concesse la cittadinanza a tutti gli abitanti dell’Impero per ottenere un maggiore gettito fiscale. È difficile credere che l’opera storica del senatore Cassio Dione contenesse una palese menzogna, dettata solo dall’odio verso Caracalla, mentre è più probabile che davvero la pressione fiscale avesse raggiunto un notevole livellamento, per cui essere Romani o essere provinciali non faceva una grandissima differenza, e semmai la differenza era a vantaggio dei provinciali. La costituzione Antoniniana fu un provvedimento che non suscitò scalpore, e nemmeno dibattiti, e non necessitò di riaggiustamenti, com’era stato nel caso delle leggi del 90 e 89 a.C. Probabilmente si trattò più del riconoscimento di uno stato di fatto, che di un cambiamento repentino e netto.

 

III.4. – Prospettive di ricerca: rapporto fra confische di territori e risorse e sviluppo del modello urbano

 

Un fattore sarebbe particolarmente degno di studio in questo ambito: che rapporto ci fu fra le confische operate da Severo e, in misura minore, dai suoi successori, e lo sviluppo del modello urbano e cittadino? Le confische andarono sempre e unicamente a vantaggio del fisco imperiale (che era diventato indistinguibile dalla res privata dell’imperatore), ampliando il demanio imperiale? Oppure servirono anche allo sviluppo delle città? E inoltre, in che modo il mantenimento delle province preservò i tradizionali modi di proprietà della terra, anche quando la cittadinanza romana fu estesa agli abitanti liberi dell’Impero?

 

III.5. – Prospettive di ricerca: chi diventava “municipium” e chi no? Modalità dello sviluppo delle città

 

Molte dialettiche di primato e di dipendenza di città nei confronti delle città o delle comunità vicine rimasero invariate, ma si strutturarono secondo la logica del diritto romano, per cui certe comunità continuavano ad esercitare il loro potere politico su altre, diventando sede e bacino esclusivo di origine di un Consiglio municipale.

 

III.6. – Prospettive di ricerca: ripercussioni della concessione della cittadinanza nel consolidamento delle tradizioni culturali dei popoli

 

Il successo politico e militare di Severo determinò anche la fine della tradizione religiosa italica come unica tradizione di riferimento per la Romanità. Culti siriani, culti giudaici, culti africani avevano la stessa dignità di quelli dell’Urbe, e questo divenne ancora più vero quando Caracalla concesse la cittadinanza a tutto l’Impero. Roma stava diventando un mosaico composito di tradizioni culturali, che dialogavano fra loro, sotto l’egida di imperatori la cui anima non era esclusivamente latina, ma armonizzava molte tradizioni.

Il folle imperatore Eliogabalo volle creare a Roma, sul Palatino, un tempio del dio solare, in cui fossero conservati gli oggetti e i testi sacri più importanti di tutte le tradizioni religiose dell’Impero. Parimenti, una cinquantina di anni dopo, Aureliano fondò il suo tempio del Sole in Campo Marzio, per farne il centro spirituale e religioso dell’Impero, e un secolo e mezzo dopo l’imperatore Giuliano l’Apostata pensava che il culto del Sole fosse il fattore unificante della spiritualità del mondo romano imperiale, gerarchicamente superiore alle tradizioni dei culti dei popoli e delle nazioni.

Fra i segni premonitori della dignità imperiale di Severo uno viene menzionato dalla Historia Augusta, secondo il quale egli avrebbe sognato di vedere dalla cima di un monte altissimo l’orbe della terra e Roma, mentre le province suonavano un concerto con la lira, la voce e il flauto.

 

III.7. – Prospettive di ricerca: inurbamento dell’esercito e altri fattori di consolidamento delle città e delle loro tradizioni antiche

 

Con i Severi le tradizioni dei popoli vennero valorizzate ed ebbero nuova dignità; il loro ancoramento alla terra divenne più forte di prima, anche se la mobilità sociale e i commerci facevano spostare le persone liberamente in tutto l’Impero. Ma fu allora che i militari persero il loro carattere transnazionale e poterono, in una certa misura, sedentarizzarsi, legandosi a una specifica città, creando quartieri per far risiedere le loro famiglie. Fu quando tutti divennero cittadini romani che le comunità cittadine di moltissimi popoli riscoprirono le loro tradizioni e le presentarono con orgoglio, come appare evidente dalla monetazione delle province dall’epoca di Caracalla alla metà del III secolo. Le città di Macedonia, ad esempio, proponevano la celebrazione di Alessandro Magno, con l’appoggio di Caracalla, ma lo stesso facevano Tarso, Ascalona e molte città delle province romane. Paradossalmente, diventare romani significò valorizzare le proprie tradizioni civiche, che diventavano quelle di cittadini romani.

 

III.8. – Prospettive di ricerca: rapporto fra autoritarismo e costituzione della cosmopoli

 

Questi fenomeni suscitano un importante interrogativo: quale fu il peso della sempre maggiore accentrazione del potere nelle mani dell’imperatore? La perdita di capacità decisionale da parte delle classi superiori, lamentata ancora da Tacito, fu la conditio sine qua non per la creazione della cosmopoli?

L’accentrazione del potere è l’unico modo per creare uguaglianza, integrazione fra i popoli, e dialogo al posto della guerra?

La perdita di potere da parte dei ceti emergenti andò di pari passo con la progressiva riduzione della mobilità socio-economica verticale, che caratterizzò il IV secolo: pian piano divenne sempre più difficile diventare homo novus, fare la scalata sociale grazie alle proprie capacità.

In questa dinamica quale fu il ruolo delle città e quale quello della legislazione imperiale?

 

 

IV. – L’Età di Costantino e l’Impero cristiano

 

IV.1. – Fiscalità e città

 

Il legame fra i popoli e il territorio divenne ancora più forte a partire dall’epoca tetrarchica. La fiscalità condizionò sempre più fortemente la vita delle città e delle persone. Molti sono stati gli studi sull’impatto del nuovo sistema fiscale tetrarchico e la progressiva crisi del modello della città; basti menzionare quelli di Santo Mazzarino. Con l’epoca dei Severi le città avevano assunto responsabilità in ambito fiscale, nel senso che i senatori cittadini rispondevano in solido in caso di mancato pagamento delle imposte dovute. In epoca tetrarchica il forte aggravamento della pressione fiscale coinvolse, in modo assolutamente paritetico, province ed Italia, e rese l’appartenenza ad un Consiglio municipale un gravame sempre più intollerabile. La riforma monetale di Costantino aggravò la situazione, creando nuova ulteriore povertà, e scoraggiando l’ascesa sociale ed economica delle persone, perché l’arricchimento comportava l’ingresso in un Senato municipale e quindi un carico fiscale maggiore.

 

IV.2. – Romani e barbari

 

I Senati municipali, ma anche quello delle due maggiori Città dell’Impero, quello di Roma e quello di Costantinopoli, non affrontavano le questioni politiche generali: si trattava di amministrare le attività di routine e di pagare le tasse. Tuttavia, nei Concili provinciali, le Città di ciascuna Provincia valutavano l’operato istituzionale dei rispettivi Governatori, contro i quali potevano intentare giudizi. La normazione imperiale dipendeva unicamente dall’imperatore tuttavia doveva misurarsi con la consuetudine generale e le consuetudini locali.

I popoli erano sempre più ancorati al territorio: i soldati ricevevano terre da coltivare, divenendo contadini-soldati, e questi soldati potevano anche essere Germani ammessi nell’Impero per militare nell’esercito.

La condizione delle persone che lavoravano nei terreni e nelle proprietà di privati, in genere senatori municipali, non differiva di molto da quella di coloro che lavoravano nelle proprietà imperiali. Per garantire il pagamento delle imposte fu stabilito che i contadini rimanessero vincolati alla terra dove lavoravano, inaugurando la servitù della gleba.

Molti trovavano preferibile fuggire presso i barbari piuttosto che rimanere nell’Impero romano. Chi poteva si sottraeva alla partecipazione al Consiglio municipale, magari approfittando dell’esenzione costantiniana dai munera per il clero.

 

IV.3. – Nuove idee all’interno della cosmopoli dell’Impero romano

 

Lo sviluppo e la valorizzazione delle tradizioni cittadine o nazionali cessò, per dar luogo ad una sempre più radicale contrapposizione fra paganesimo greco-romano e Cristianesimo. Le persecuzioni del III secolo e dell’epoca di Diocleziano avevano radicalizzato la dialettica fra le religioni, la quale invece si era rivelata costruttiva al tempo dei Severi.

La cosmopoli che Roma aveva creato permetteva la circolazione delle idee, e soprattutto richiedeva un dibattito o almeno una riflessione sui valori che dovevano essere condivisi da tutti gli abitanti dell’Impero-cosmopoli. Nel IV secolo la riflessione si ridusse a due ambiti fondamentali: la natura del potere imperiale e la necessità di dare un’unica religione a tutto l’Impero.

 

IV.4. – Dalla politica all’amministrazione

 

Le riforme del potere imperiale inaugurate da Diocleziano rafforzarono quella che gli storici moderni chiamano la trasformazione dell’Impero in dominato. L’imperatore era chiamato dominus, che è il nome con cui i servi chiamavano il loro padrone. Per la vita politica dell’Impero diviene fondamentale il dibattito sui fondamenti e le qualità del potere imperiale, dibattito promosso dagli imperatori stessi, dai retori panegiristi e dal consistorium, il Consiglio supremo dell’Impero. Per il resto, una miriade di funzionari imperiali, gerarchicamente organizzati, provvedeva ad amministrare tutte le funzioni della vita pubblica. Si trattava, per dirla in termini banali e anacronistici, di quello che ora viene detto “commissariamento” della vita politica di una città.

Il mosaico di popoli e di tradizioni stava perdendo i sui colori. Pochi ormai andavano orgogliosi delle tradizioni e dei costumi della propria città.

 

IV.5. – Un nuovo “populus”, quello cristiano, e un nuovo spazio: il mondo

 

Il fattore emergente nella vita politica dell’Impero era il Cristianesimo. I Cristiani definivano se stessi populus, con un termine di antica tradizione romana. Al populus cristiano spesso veniva contrapposto quello dei cosiddetti Graeci, cioè i pagani, come già essi erano stati definiti al tempo dei Maccabei. Ma il populus cristiano non si riconosceva (o non si riconosceva ancora) in una città. Roma era ancora terribilmente pagana e il cristianissimo imperatore Costanzo II permise la continuazione dei culti pagani presso i templi del territorio romano, come eccezione, mentre suo padre Costantino aveva dovuto creare Costantinopoli per avere una capitale prevalentemente cristiana. Ma il populus cristiano non si riconosceva come costantinopolitano. Anzi, esso si estendeva anche presso i barbari, soprattutto i Germani, al di fuori dell’Impero. Già al tempo di Costantino il populus cristiano era percepito come un’entità sovranazionale (lo era stato fin dalle origini, a differenza dal Giudaismo), e anche indipendente dall’estensione dell’Impero romano stesso; e infatti il re di Persia prese a perseguitare i Cristiani dopo che Costantino gli aveva mosso guerra. I Cristiani residenti in Persia erano sentiti come dei potenziali membri del populus che riconosceva Costantino come capo.

 

IV.6. – L’organizzazione territoriale del “populus” cristiano

 

Al tempo dei Severi i Cristiani si dichiaravano fedeli sostenitori dell’imperatore e cittadini romani, anche se in attesa di ricongiungersi col regno dei cieli. Nel IV secolo invece si impose progressivamente l’idea che il populus cristiano riconosceva come autorità quella dei vescovi, lasciando all’Impero l’amministrazione della fiscalità, della milizia e di gran parte della giustizia.

In questo secolo l’organizzazione delle Chiese locali si ispirò al sistema territoriale amministrativo dell’Impero, per cui ogni vescovo ebbe una città col suo territorio da amministrare, sia spiritualmente che materialmente, mentre il suo territorio prese il nome dei raggruppamenti di province imperiali: diocesi; e la funzione dei Patriarchi si ispirò, mutatis mutandis, a quella dei prefetti del Pretorio.

Laddove si era verificata una fuga dalle incombenze curiali da parte dei Senatori municipali, si era parallelamente verificata una corsa alle cariche ecclesiastiche.

Il fenomeno monastico rivestiva, da parte sua, significati differenti, a seconda delle aree dell’Impero: in Siria molti monaci, per quanto isolati nei loro eremi, diventavano il punto di riferimento della vita culturale, e talora anche politica delle città di riferimento, ma in Egitto essi tendevano più radicalmente alla vita distaccata dalla comunità di origine, e si trattava, nel loro caso, di una fuga dal mondo cittadino verso una vita spirituale. Un loro nuovo coinvolgimento, come gruppi di monaci, nella vita pubblica lo si ebbe al tempo di Shenute (IV-V secolo).

 

IV.7. – Prospettive di ricerca: dialettica fra poteri imperiali e autorità ecclesiastica

 

Al posto della molteplicità delle tradizioni religiose e culturali prevalse e poi fu imposta da Graziano e Teodosio I una uniformizzazione in senso cristiano. L’Impero ebbe una sola religione invece che molte. Già con Costanzo II si ebbe un distacco fra le funzioni dell’imperatore e quelle dei vescovi nella conduzione della vita religiosa del mondo romano. La scissione fu definitiva con Graziano, che nel 367 rinunciò alla carica di Pontefice Massimo. La sovrapposizione e coincidenza perfetta fra cariche pubbliche e competenze religiose che aveva caratterizzato il mondo romano fino ad allora cedette il posto ad una complementarietà fra potere che deriva dall’Impero e autorità ecclesiastiche. Questa complementarietà, questa parziale sovrapposizione è ben degna di nuovi studi. Molte ricerche, e proficue, sono state fatte in questo campo relativamente al problema della povertà, ma anche in altri domini si potrebbe analogamente continuare gli studi. Basterebbe, per fini empirici, prendere in considerazione le funzioni dei poteri politici in termini romani: quello della povertà corrisponde alla sfera del tribunato della plebe e della prefettura dell’annona, ma ci sono anche il potere del censore, che determina lo status di ciascun cittadino e dunque la sua ascesa sociale; il potere edilizio, che regolamenta gli spazi pubblici e il mercato. Questi e altri poteri furono oggetto di negoziazioni e discussioni nel tardo Impero fra vescovi e potere imperiale, e questi sono altrettanti ambiti proficui di indagine.

 

[AttilIO Mastrocinque]

 

 

COSTANTINOPOLI NUOVA ROMA

 

I. – Impero universale e popoli slavI

 

I.1. – L’impero universale cristiano

 

L'ideologia della basileia, denominata anche in modo equivalente monarchìa, la concezione del potere imperiale e il culto del sovrano, divengono la matrice della forma di stato e società nell’impero romano-orientale. Nel IV secolo la divinità del potere imperiale si coniuga con la finalità di salvezza universale del cristianesimo e gli imperatori, senza più pretender una divinità propria, si presentano come investiti personalmente da Dio della loro missione trascendente di salvezza della umanità.

 

I.2. – Universalità imperiale e signorie locali dell’aristocrazia

 

La visione trascendente del potere imperiale, metastoricamente proiettata in un programma di salvezza universale, viene sfidata dalla contestazione dei ceti aristocratici, in profonda evoluzione sotto la pressione della autocrazia e di fatto gestori di un largo potere territoriale nell’ambito dei loro latifondi.

 

I.3. – Assimilazione al cristianesimo dei popoli slavi

 

Dal punto di vista culturale la sua ideologia imperiale universalistica, la capacità di assimilazione al cristianesimo dei popoli slavi (Moravia nell’863), della Bulgaria turco-slava (865) e della Rus’ kieviana (988) è un elemento tipizzante degli “imperi” come vengono elaborati dalla politologia moderna.

 

 

II. – Secoli VII - VIII

 

II.1. – Mutamento dei ceti di governo fra VII e VIII secolo

 

La destrutturazione territoriale produce un avvicendamento di ceti al governo. Il potere politico si regge su un sistema di riscossioni fiscali su commerci e possessi fondiari, e sulla espansione del patrimonio pubblico di terra, che consentono il mantenimento di un esercito stanziale di circa 150.000 unità, retribuite in denaro e in terre coltivabili, e su una burocrazia molto ramificata. Su tutto il simbolo unificante dell’imperatore e del suo cerimoniale. La basileia ton Rhomaion è in compenso una antesignana del sistema della monarchia assoluta.

 

II.2. – Militarizzazione dell’impero di contro al califfato

 

L’età di Eraclio (610-641), pur con i suoi successi militari contro Avari e Persiani, registra la scomparsa delle nuove coniazioni in oro supplito dalla bella moneta d’argento dell’esagramma nel 616. Le necessità finanziarie sono tali che il potere autocratico si trova ad allungare le mani sui tesori delle chiese, compreso il tesoro lateranense del papa di Roma, aprendo in età eracliana un contenzioso che si approfondirà in età iconoclastica e porrà la radice dello scisma fra le due chiese.

 

II.3. – Ruolo della marineria

 

In questo contesto di spirito di resistenza e di esaurimento di risorse pubbliche i ceti artigianali e mercantili soprattutto connessi con l’arsenale di Costantinopoli, vengono valorizzati in una decisa presa di posizione politica che culminerà nella scelta marinara di Eraclio e di Costante II, pronti a trasferire il baricentro dell’“impero” da Costantinopoli Nuova Roma, ritenuta indifendibile, al nodo delle rotte mediterranee fra Cartagine e Siracusa che devono assicurare il mantenimento dell’esercito. Niceforo I mediterà addirittura di stabilire un regime “democratico” cioè di governo del popolo delle arti della città imperiale, che aveva sostenuto lo sforzo economico e aveva fornito la flotta su cui si basava la resistenza militare romano-orientale alla superpotenza del califfato dilagante dalla Persia alla Spagna e deciso ad espugnare Costantinopoli Nuova Roma.

 

II.4. – Difesa del possesso fondiario medio e piccolo contro il latifondo

 

Il riaccentramento territoriale e la capacità di resistenza ed espansione militare di Leone III e Costantino V suscitano un largo consenso verso una politica aggressiva di asserzione della autocrazia contro gli accumuli di potere economico di chiese e monasteri, in larga parte istituzioni signorili e di proprietà privata del fondatore, condotta con i metodi del fiscalismo bizantino.

 

 

III. – Secoli IX - XIII

 

III.1. – Esercito e agricoltura

 

L’esercito, l’agricoltura, di cui viene difesa la piccola e media proprietà contadina specialmente dei militari dotati di terre pubbliche in cambio di servizio militare, la struttura amministrativa dell’impero e la macchina ideologica della corte e del potere imperiale consolidano l’impero del IX-X secolo e permettono notevoli successi in ambito territoriale, come la riconquista di Creta, la riconquista della Siria e di parte della Mesopotamia e la sottomissione della Bulgaria. Fondamentale è il successo della cristianizzazione dei popoli slavi, che conferisce all’impero romano-orientale un prestigio e un significato storico che dura anche dopo la sua scomparsa politica.

 

III.2. – Assolutismo imperiale e ruolo degli eunuchi

 

Il centralismo imperiale si esprime con l’attenzione prestata al sistema fiscale e all’ordinamento dell’esercito, ma anche tenendo a bada le pretese della aristocrazia militare, talvolta dotata di truppe private, che viene messa in concorrenza con uno speciale personale di corte, gli eunuchi, cui si affidano importanti cariche civili e militari, classe di persone che sono affini ai ministeriali del Sacro Romano Impero di Nazione Germanica, cioè persone slegate dal contesto aristocratico e interamente dipendenti dall’imperatore: sono anzi spesso schiavi di origine paflagone. 

 

III.3. – Prevalenza dell’aristocrazia militare

 

Ma con il prevalere della aristocrazia militare nell’XI secolo con la dinastia dei Comneni si verifica una espansione del sistema signorile nelle campagne e un indebolimento del potere centrale proprio mentre Turchi da Oriente e Latini, cioè occidentali da Occidente, aggrediscono in vario modo l’impero romano-orientale, che deve ricorrere a truppe straniere compensate con risorse economiche del fisco.

 

III.4. – Fine politica e sopravvivenza culturale

 

La conquista della IV Crociata e la conseguente formazione di un impero latino di Costantinopoli, esaurito nella capitale entro il 1261 ma perdurante in periferia, Creta e le isole ionie fino al XVIII secolo; la progressiva conquista prima selgiucchide poi ottomana della Anatolia e anche della Tracia, provocarono la scomparsa territoriale dell’impero, anche se la sua eredità ideale prese a emigrare verso la Russia e anche se il prestigio del patriarcato ortodosso di Costantinopoli rimase a lungo intatto.

 

[ANTONIO CARILE]

 

 

MOSCA TERZA ROMA

 

I. – Il processo di unificazione della terra russa

 

1.La Russia delle città.

 

2. La liberazione della terra russa dal giogo tataro.

 

3. Sofia (Zoe) Paleologina.

 

4. La graduale annessione delle città al controllo politico di Mosca.

 

5. La formazione di una “classe” di pomeščiki, funzionari del sovrano che ricevono una terra come compenso del loro servizio e graduale deperimento del sistema degli udely, proprietà-dominio ereditario dell’antica nobiltà.

 

6. Il bisogno del Gran Principe di Mosca di disporre della terra da assegnare a suoi funzionari lo induce a minacciare i beni della Chiesa (il più grande latifondista del tempo).

 

7. La disputa fra i non-possessori e i sostenitori della intoccabilità dei beni della Chiesa si risolve col concilio del 1503, in cui si sancisce quest’ultima posizione, ma nello stesso tempo, la Chiesa si impegna a sostenere il diritto del Gran Principe a reggere territori e città che non erano sua otčina ereditaria (le città annesse alla Moscovia da Ivan III): nasce, con Iosif Volockij, la dottrina della sovranità moscovita come immagine speculare del potere di Dio (la teoria di Agapeto giunge in Russia attraverso il piccolo trattato Pčela.

 

 

II. – IVAN IV E LA TERRA

 

1.Si afferma la teoria di Mosca come Terza Roma (Filofej di Pskov, Makarij [cerimonia d’incoronazione di Ivan IV], Racconto dei Principi di Vladimir, vari documenti diplomatici, consacrazione di Ivan IV come successore degli imperatori romani d’Oriente da parte del Patriarca di Costantinopoli, fondazione del Patriarcato di Mosca).

 

2.Dopo la conquista di Astrachan e di Kazan’, Ivan IV dà inizio ad una grande riforma della terra, che viola direttamente la starina: il diritto ereditario alla terra.

 

3.L’ opričinina crea una vasta zona di terra fertile che passa sotto il diretto governo del Gran Principe, mentre i proprietari ereditari sono mandati ad amministrare terre lontane dal centro e meno fertili e ricche.

 

 

III. – Zemskie Sobory

 

1.Dopo la morte di Ivan IV e di suo figlio Fëdor, si apre l’epoca dei Torbidi, con la successiva ascesa al trono di Boris Godunov, di Vasilij Šujskij, dei vari falsi Dmitrij.

 

2.L’età dei Torbidi si chiude con l’ascesa al trono di Michail Romanov, che viene eletto da uno Zemskij Sobor (Concilio della Terra) al quale partecipano non solo esponenti della città di Mosca, ma “uomini buoni” da tutte le città russe e anche gli cari e i carevici, i governanti delle città conquistate di Kazan e di Astrachan.

 

3.Nella sostanza, i confini delle terre della Moscovia si ampliano concettualmente all’intera Russia, i cui abitanti sono ormai riuniti in un’unica comunità statuale, capace di eleggere uno Car.

 

4.È dunque il popolo, che infine forma una comunità statuale, ad avere il ruolo fondante della sovranità russa. E ciò ben oltre il XVI secolo. Non infatti un caso che al tempo della “elezione” al trono russo di Anna Ioannovna, nel 1730, i documenti che sanciscono la sua ascesa al potere supremo danno atto (probabilmente, in modo strumentale) della volontà popolare che l’avrebbe designata a divenire Carica, riecheggiando così – in modo ideologico e storicamente fuorviante – l’esperienza degli Zemskie Sobory che avevano chiuso l’epoca dei Torbidi.

 

 

IV. – Permanenza dell’idea imperiale romana

 

Il mandato conferito a Ivan IV dal metropolita Makarij nel cerimoniale d’incoronazione («convertirai alla vera fede tutte le genti barbare») rimane però del tutto tendenziale e Ivan IV si rifiuterà di unirsi ad una crociata contro la Sublime Porta (Possevino), ma la derivazione romana ed ecumenica della legittimazione del Gran Principe di Mosca e Cari sarà riaffermata più volte nei documenti ufficiali, fino alla lettera affidata da Aleskej Michajlovoc nel 1654 a Fèdor Isakovic Baikov perché la consegnasse all’imperatore cinese Shùnzhi, nella quale lo Car afferma: «A Voi, Bugdykhan, è certamente noto che da tempi antichi regnano sui grandi e famosi stati dell’Impero russo i Sovrani nostri antenati, discendenti dalla stirpe del Cesare Augusto, sovrano di tutto il mondo, dal suo lontano parente il grande principe Rjurik, [...] dal Sovrano e granduca Vladimir Vsevolododič Manamach, colmato da altissimi onori già dai greci, fino al Sovrano il nostro bisnonno degno di lode e beato antenato, il Sovrano e granduca Ivan Vasil’evič, autocrate di tutta la Russia, e suo figlio, nonno del Sovrano, beato antenato, il Sovrano e granduca Fëdor Ivanovič».

 

[Giovanni Maniscalco Basile]

 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVI Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]

 



 

* Già pubblicato in Index. Quaderni camerti di studi romanistici. International Survey of Roman Law 44, 2016, 407-419.